Gramsci Gay

1920. Lo sciopero delle lancette – 200 mila lavoratori pronti a instaurare la rivoluzione comunista in Italia – è stato un grande fallimento. Un Antonio Gramsci non ancora trentenne si confronta con gli operai torinesi per convincerli che la strada dell’agitazione è ancora quella giusta da percorrere.

2019. Su un muro del carcere di Turi viene imbrattato un famoso murales dedicato a Gramsci, che proprio in quel carcere aveva passato cinque anni della sua prigionia scrivendoci il grosso dei suoi Quaderni. Una mano anonima ha scritto “gay” sulla fronte del fondatore del Partito Comunista Italiano.

Questo spettacolo unisce i puntini per riflettere sul rapporto fra politica e indifferenza, impegno e disillusione, fuoco e cenere.


con Mauro Lamantia
drammaturgia Iacopo Gardelli
regìa Matteo Gatta
una produzione Studio Doiz / Accademia Perduta Romagna Teatri
costumi e scenografia Gaia Crespi
disegno tecnico Mattia Sartoni

progetto vincitore della borsa teatrale Amici di Anna Pancirolli 2022

un ringraziamento speciale a Ravenna Teatro e a Crexida/ANIMA Fluò per il supporto

La prima assoluta è andata in scena il 13 novembre 2022 al teatro Edi Barrio’s, Milano. Un primo studio dello spettacolo è stato ospitato il 15 settembre 2022 da Fienile Fluò, Bologna.


Foto di Luca Luperto


Sguardi critici

Mugugnava, il tizio seduto di fianco a noi ieri sera alla Casa del Teatro di Faenza mentre Mauro Lamantia / Antonio Gramsci ci (gli) parlava con veemente assertività. Come quando qualcuno ci parla e noi emettiamo piccoli suoni per «confermare fattivamente la nostra partecipazione allo scambio comunicativo», come si suol dire in psicologia della comunicazione.

Mugugnava senza posa: in tutta evidenza si sentiva parte di quel discorso. Ma facciamo un passo indietro. Anzi, due.

Primo passo indietro: stiam parlando di Gramsci gay monologo popolato di Studio Doiz, prodotto dal proteiforme gruppo ravennate insieme ad Accademia Perduta/Romagna Teatri e presentato ieri sera nell’ambito della rassegna Teatri d’Inverno – sguardi sulla drammaturgia contemporanea.

Secondo passo indietro: per capire di cosa stiam parlando riportiamo integralmente la perfettamente sintetica presentazione dello spettacolo presente nel programma di sala e nella pagina ad esso dedicata nel sito della Compagnia.

«1920. Lo sciopero delle lancette – 200 mila lavoratori pronti a instaurare la rivoluzione comunista in Italia – è stato un grande fallimento. Un Antonio Gramsci non ancora trentenne si confronta con gli operai torinesi per convincerli che la strada dell’agitazione è ancora quella giusta da percorrere. 2019. Su un muro del carcere di Turi viene imbrattato un famoso murales dedicato a Gramsci, che proprio in quel carcere aveva passato cinque anni della sua prigionia scrivendoci il grosso dei suoi Quaderni. Una mano anonima ha scritto “gay” sulla fronte del fondatore del Partito Comunista Italiano. Nello spettacolo Nino Russo, il vandalo di fantasia del murales, viene colto in flagrante e trascinato in commissariato per un interrogatorio molto diverso da quello che si aspetta. Questo spettacolo unisce i puntini per riflettere sul rapporto fra politica e indifferenza, impegno e disillusione, fuoco e cenere».

Detta così, abbiam pensato prima dell’inizio, il rischio è quello di uno spettacolo a tesi. Peggio, di uno spettacolo da boomer: da «una volta era meglio». Una cosa tra predica e scoramento, che non servono a nessuno. E invece.

Invece questo spettacolo è cosa viva, e scalciante, che fa mugugnare tutto il tempo il nostro vicino, perché gli parla. Ci parla. Parla. Questo, abbiam pensato, accade principalmente per tre motivi.

L’ATTORE

Mauro Lamantia ha una faccia stranissima. Magnetica. Tra Jim Carrey e Ninetto Davoli. E un corpo vibrante, vivo. Mauro Lamantia ha un’esattezza, nella partitura vocalica e fisica del suo agire -costruita in dialogo con il regista Matteo Gatta ed i perfetti costumi di Gaia Crespi– che rende danza il suo dire, eloquente il suo stare. Mauro Lamantia è giovane e, per noi, una gran scoperta. Da tener d’occhio, nei suoi passi futuri.

LA SCRITTURA

Dal punto di vista testuale, le precise parole di Iacopo Gardelli danno luogo a un accadimento che nel significante, prima e più che nel significato, manifesta consistenze speculari. L’andamento sincopato e didattico, interlocutorio ed entusiasta, incoraggiante e severo dell’esattissimo, colto dire gramsciano si specchia e compenetra nel magmatico turpiloquio del giovane disilluso, incattivito, abbruttito autore della scritta sul murales.

La scrittura scenica riprende e amplifica questa dualità verbale: a far del linguaggio, com’è opportuno, materia. Un esempio fra molti: le molte sedie, unico oggetto di scena, nella prima parte ordinatamente raccolte al centro, nella seconda sparse, riverse, percosse.

I PUNTINI DA UNIRE

«Questo spettacolo unisce i puntini» scrive la Compagnia. Quel che più conta, consegna a noi queste due metà con l’oggettività di un fatto, per dirla parafrasando Deleuze. Ci lascia a fare i conti con una sostanza in vivente trasformazione: non lancia messaggi univoci, non forza interpretazioni. Circonda un vuoto, che è poi quello che sempre fa l’arte antica del teatro, quando è tale.

Noi ci troviamo nel mezzo, tra questi poli opposti e complementari di significazione. Tra un prima e un dopo. Proprio nel punto, millimetrico e feroce, in cui il fuoco diventa cenere.

Il fuoco e la cenere. Su Gramsci gay di Studio Doiz, Michele Pascarella, Gagarin Magazine


È una bella sorpresa quella di Gramsci gay, poco aiutato da un titolo tutt’altro che accattivante e che pure ha un suo significato e una sua necessità, dal momento che prende spunto da un fatto realmente accaduto: e cioè lo sfregio di un murales dedicato ad Antonio Gramsci, sul muro del carcere di Turi dove fu detenuto e dove scrisse parte dei Quaderni dal carcere, con la scritta che dà appunto titolo alla pièce.


Lo spettacolo si divide in due atti. Nel primo il giovane Antonio Gramsci (che solo l’anno prima, non ancora trentenne, aveva fondato l’Ordine nuovo con Togliatti, Terracini e Tasca) argomenta, riflettendo ed accalorandosi, sul fallimento dello sciopero del 1920 (il cosiddetto “sciopero delle lancette”). Gramsci, folta zazzera ricciuta, completo marrone con cravatta, occhialini tondi, è solo sulla scena, interpellando direttamente la platea, esponendo le sue tesi sulla necessità di coesione delle forze progressiste e rivoluzionarie, sul ruolo degli intellettuali nella lotta di emancipazione politica e sociale dei lavoratori, sul ruolo degli intellettuali nella lotta politica e nella progettazione di una nuova società più giusta; sulla pervasività dell’ideologia dominante, quella della borghesia e del capitalismo, che riesce a far permeare tra gli strati sociali subalterni la propria ideologia, finalizzata al profitto e all’accumulazione mediante lo sfruttamento del lavoro salariato, quasi si trattasse di un ordine naturale e immodificabile delle cose.


Gli occhi scuri dell’oratore brillano per il fervore dell’argomentazione, scandita, precisa, di lucida visione e onestà intellettuale, mentre cammina gesticolando per il palco, interrogando ed interloquendo con i suoi ascoltatori/spettatori. Buio, fine del primo atto.


Le tante sedie del ragionare collettivo del primo tempo ora sono ridotte ad una sola. Quando le luci si riaccendono completamente, un ragazzo seduto in poltrona in prima fila interpella con epiteti offensivi e uno sproloquio a ruota libera lo spettatore seduto dietro di lui. Dopo un lungo discorso rivolto al perplesso spettatore, pieno di turpiloquio, si alza in piedi e guadagna il centro del palco. È un giovane dei nostri giorni, vestito in jeanssneakers e bomber. La zazzera e gli occhi sono gli stessi del Gramsci del primo atto, ma ora si tratta invece del ragazzo che nel 2019 ne ha imbrattato il murales e che per questo è stato convocato in commissariato.

Le sue motivazioni emergono durante il dialogo con le voci fuori campo, prima con il commissario che lo interroga, poi con Massimo Gramellini del Corriere della Sera che lo intervista, poi con la madre che lo rimbrotta e si dice delusa di lui. O meglio, emergono le sue non motivazioni: l’ha fatto per ignoranza (Gramsci non sa nemmeno chi sia), per noia, per spregio delle persone importanti (si diverte e gongola quando apprende che Gramsci era un politico, un comunista poi), solo per rompere la minchia a qualcuno, e se vuoi rompere la minchia a qualcuno dirgli che è un gay è sempre un metodo sicuro. Man mano che i dialoghi/monologo proseguono, l’insofferenza del ragazzo cresce, dalla sbruffoneria iniziale passa all’insofferenza e alla rabbia di chi si sente perseguitato inutilmente per una sciocchezza senza significato e senza conseguenze.


È l’esempio vivente, attuale, di quel sottoproletariato che Gramsci sognava di cancellare, prodotto dall’incultura, dall’inconsapevolezza della propria condizione, dalla mancanza di una prospettiva politica, di un punto di fuga. Suo padre ha maltrattato sua madre finché se ne è andato abbandonandoli; lui vive di lavori precari, cameriere con contratto a tempo e poi licenziato e disoccupato; invidioso e diffidente verso la metropoli del nord, in cui ha temporaneamente vissuto e lavorato, e delle sue libertà.

Non sa chi sia Gramsci, non sa che Gramsci avrebbe potuto parlare anche a lui, di lui, per lui; che ha pagato le sue idee con il carcere fascista, detenuto fino al termine della sua vita; che Gramsci non solo sognava, ma anche progettava un mondo diverso, una società più giusta. È solo il volto di qualcuno che sarà stato potente, da sbeffeggiare con una scritta sguaiata.
Gramsci gay è in fondo, ad un secolo di distanza, il ritratto di due sconfitte, inflitte in definitiva dalla Storia che ha visto prevalere, grazie all’accordo tra imprenditori e fascisti prima, e grazie alle lusinghe subdole del neocapitalismo poi, proprio quell’ideologia che sostiene l’inutilità di ogni tentativo di modificare le cose e di intaccare lo status quo delle divisioni in classi e dello sfruttamento dei lavoratori.


Decisamente bella l’idea ed efficace il testo del 34enne scrittore, giornalista e drammaturgo ravennate Iacopo Gardelli; semplice ma appuntita e puntuale la regia di Matteo Gatta, anche nell’impostazione dialettica con il fuori palco; ma davvero eccezionale la performance di Mauro Lamantia, credibile e perfettamente calato nel doppio ruolo, sia nei panni del fervente intellettuale marxista sia in quello del coatto inconsapevole della propria schiavitù, una sorta di pasoliniano Ninetto Davoli dei nostri giorni.

Un’interpretazione in entrambi i casi profondamente convincente ed emozionante, salutata da calorosissimi applausi alla prima milanese nella sala Bausch del Teatro Elfo Puccini.

Le due sconfitte di Antonio Gramsci, Mauro Caron, intothewonderland


Mauro Lamantia veste i panni di Antonio Gramsci nella pièce di Iacopo Gardelli intesa a restituire il pensiero dell’intellettuale e politico italiano utilizzando quello stesso approccio concreto, preciso e trasparente, sorretto da fatti ed esempi storici che ne contraddistingue gli scritti.


Gardelli, grazie all’incisiva interpretazione offerta da Mauro Lamantia diretto da Matteo Gatta, presenta al pubblico un ritratto di Antonio Gramsci eseguito all’indomani dello sciopero delle lancette dell’aprile 1920. Lamantia, quando si abbassano le luci in sala, fa il suo ingresso e, senza preamboli, prende a sfogarsi con il pubblico in platea per la disfatta subita dagli operai delle fabbriche torinesi in sciopero cui, con il trascorrere dei giorni, si sono uniti quelli del resto del Piemonte e i braccianti agricoli.

L’indignazione per la reazione di PSI e GCL, incapaci di supportare adeguatamente lo sciopero, si trasforma in rabbia nel descrivere l’orrore dinanzi al violento intervento armato dello Stato, un’azione eccessiva per reprimere cittadini mobilitati per far valere i propri diritti a migliori condizioni di lavoro. Un’azione eccessiva da intendersi quale funesta avvisaglia della progressiva affermazione del fascismo e dei suoi metodi di governo.


Lamantia con gli occhiali dalla montatura in filo metallico, i capelli vaporosi e l’abito in cui sembra perdersi dentro rende perfettamente l’idea di Gramsci, un uomo dalla corporatura esile e gracile ma dotato di grandi doti intellettive e senso civico. L’impulso a difendere i diritti delle fasce più povere e, quindi, deboli della popolazione nasce in Gramsci già negli anni della giovinezza, quando ancora bambino e nonostante i problemi di salute è costretto a lavorare per contribuire al modesto bilancio famigliare. Le ristrettezze economiche ostacolano pure il suo desiderio di proseguire gli studi, obbligandolo inizialmente a studiare da autodidatta mentre coetanei meno brillanti vedono spalancarsi le porte del ginnasio solo in virtù del proprio stato sociale. Gramsci trova nei testi di Marx – e nella loro applicazione in Russia, dove portano alla caduta dello zar – lo stimolo per spendersi in Italia ad abbattere l’egemonia di pochi privilegiati sui molti e, nel 1921, alla fondazione del Partito Comunista Italiano.


Vittima delle repressioni del governo fascista, Antonio Gramsci viene arrestato a Roma l’8 novembre 1926, processato sommariamente nonostante goda dell’immunità parlamentare e condannato a vent’anni di pena. Nell’arco della prigionia Gramsci trascorre cinque anni, dal 1928 al 1933, a Turi dove inizia la stesura dei Quaderni dal carcere, recuperati dopo la sua morte e custoditi a Mosca sino al 1948 quando Giulio Einaudi ne inizia la pubblicazione. Gardelli mutua proprio dai Quaderni dal carcere alcune delle immagini utilizzate da Gramsci per rendere intellegibile alle masse il proprio pensiero e, più in generale, gli ideali alla base della filosofia marxista.


L’autore confida “in un passaggio dello spettacolo era necessario esplicitare meglio il rapporto marxiano fra struttura e sovra-struttura. Ho cercato a lungo, inutilmente, una metafora efficace che potesse aiutare lo spettatore a seguire il filo del discorso. Fidandomi di Gramsci, ho ripercorso buona parte dei Quaderni in cerca di aiuto – e l’ho trovato”.


Iacopo Gardelli con Gramsci gay restituisce vigore e tridimensionalità a una figura fondamentale per lo sviluppo del nostro Paese, oggi sbiadita – se non dimenticata – tra i libri di storia anche per colpa di un sistema scolastico che dedica maggior attenzione alle guerre puniche che ai fatti del Novecento.

La seconda parte dello spettacolo vede infatti protagonista Nino Russo, un giovane di Turi reo di aver imbrattato il murales dedicato a Gramsci realizzato sulle mura del carcere cittadino. Nino Russo non comprende la gravità del proprio gesto, uno sfregio compiuto per noia e malessere interiore contro un bene pubblico. Egli nemmeno sa chi sia Antonio Gramsci e quel “gay” vergato sopra il murales per lui è un insulto qualunque a colui che crede uno dei tanti politici inutili e insignificanti d’Italia. È la voce fuori campo di Mattia Sartoni che in commissariato gli spiega quanto lontano dalla realtà sia il suo pensiero, permettendogli con questa lezione di prendere consapevolezza della storia e, di rimando, del proprio presente.

Ottimo il lavoro svolto da Matteo Gatta con Mauro Lamantia nel rendere coinvolgente un pezzo importante di storia italiana: quando il personaggio di Antonio Gramsci si rivolge al pubblico come si trattasse di un gruppo di operai e sindacalisti è impossibile ignorarlo, sentendosi, oggi come un secolo fa, chiamati in causa a difendere attivamente i nostri diritti di cittadini. L’augurio è che Gramsci gay possa essere proposto alle scuole per aiutare i giovani, partendo dal recente passato, a costruire un futuro in cui non si ripetano certi errori.

Gramsci gay, Silvana Costa, artalks.net


Vincitore del Premio Anna Pancirolli 2022 per il migliore spettacolo inedito under 35, Gramsci Gay di Iacopo Gardelli, per la regia di Matteo Gatta, con Mauro Lamantia, è un monologo pungente che racchiude tutta la rabbia e la disperazione di una generazione di giovani senza sogni, senza ideali, senza speranze. Immobili, muti, privi di un interlocutore in grado di ascoltare o indicar loro la via da seguire – come Marx è riuscito a fare con Gramsci e che a sua volta prova a fare lo stesso con i lavoratori.

I ragazzi di oggi – rappresentati da Russo – si rivelano ben lontani dall’Antonio Gramsci che incita la folla di operai per creare la Rivoluzione. Così diversi da quel trentenne rivoluzionario che parla di “azione per cambiare”, che nello spettacolo viene affiancato dal giovane vandalo che agisce imbrattando il muro senza un senso, senza un reale motivo. E così l’urgenza delle parole di Gramsci assumono una attualità disarmante nell’ottima interpretazione di Mauro Lamantia.

Avere trent’anni e fare la rivoluzione. Ma davvero?, Martina Bruno, ateatro.it