Abbandono

Un paese non precisato. Il tempo non è importante, potrebbe essere il futuro, ma anche un recente passato. Una coppia in pericolo aspetta un passaggio per la salvezza. Non sappiamo cos’è successo: una guerra? una catastrofe climatica? L’unica cosa certa è che i protagonisti devono abbandonare la loro casa, la loro terra, i loro affetti. Le loro vite vanno inventate di nuovo, per giungere a un “di là” sconosciuto e diverso.

Abbandono è una drammaturgia scarnificata che descrive una condizione universale: quella di un’umanità sradicata, gettata fuori dalla natura, sola in un pianeta sempre più ostile; che abbandona (o è abbandonata) da una società amorfa e silenziosa.

Questo lavoro, quasi un atto unico, parte da domande semplici e disturbanti: quanto di noi stessi possiamo abbandonare prima di diventare altre persone? Cosa siamo disposti a perdere, e a cosa non possiamo rinunciare? Una relazione duale può salvarsi nello sfacelo di una società? E che cosa significa davvero “salvarsi”?

Note di drammaturgia

Ho scritto questo breve testo, di getto, alla fine del 2021, quando ancora il mondo era fermo per la pandemia. L’ho iniziato senza sapere dove mi avrebbe portato. L’unica cosa certa era che doveva parlare di una coppia costretta ad abbandonare la sua città, il suo paese, la sua vita “normale”, per motivi gravi e sconosciuti. Quali potevano essere le conseguenze psicologiche e mentali di questa scelta? Come reagisce una relazione in mezzo allo sfacelo delle cose? Si rafforza o si allenta? Quando siamo davvero in pericolo è la nostra natura ferina, è l’istinto di auto-conservazione ad avere la meglio, o l’amore può sopravvivere?

Adesso, durante le prove, vedo questo testo prendere vita. Distinguo più chiaramente schegge di ispirazione letteraria che mi avevano guidato durante la stesura, mute e inconsapevoli: c’è il teatro di Beckett, l’asciuttezza di Pinter; ci sono le pagine di McCarthy, di Coetzee, della Munro – ma c’è anche qualcosa del mondo sotto attacco descritto da un capolavoro del fumetto mondiale: L’Eternauta, di Héctor Oesterheld.

Capisco che questo frammento disperato è uno specchio della psicologia collettiva. Il senso di fine, la paura del disastro (climatico, sociale, economico…), la convinzione di essere “gli ultimi”, l’insensatezza di ogni speranza o progetto: l’escatologia è forse il segno distintivo di questi decenni.

Iacopo Gardelli

di Iacopo Gardelli
regìa Roberto Magnani
con Lorenzo Carpinelli e Alice Gera
musiche Giacomo Bertoni
grafiche Nicola Varesco
tecnica Andrea Napolitano
una produzione Studio Doiz
con il sostegno di Ravenna Teatro e CISIM
progetto vincitore della borsa teatrale Amici di Anna Pancirolli 2022
un ringraziamento speciale a Ravenna Teatro e a Crexida/ANIMA Fluò per il supporto


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Sguardi critici