La stradona. Autobiografia di una regione allo specchio

L’Emilia-Romagna è l’unica regione al mondo che prende il nome da una strada, perché fu proprio la strada, più che Roma, la sua metropoli, la vera madre delle sue città.

Franco Farinelli, Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo

La via Emilia è il midollo che ha portato linfa alle nostre città, la vena che ha fatto scorrere la nostra cultura, l’utero in cui siamo stati concepiti. Rigida e severa nella sua razionalità mediterranea, ma anche lunare e nordica quando è avvolta dalle nebbie invernali; simbolo dell’operosità umana, disseminata com’è di magazzini e aziende, ma anche via di campagna, circondata da campi silenziosi e infiniti: lungo questa “stradona” convivono tutti i caratteri che segnano il nostro modo di vivere – i caratteri che ci hanno formato.

La via Emilia diventa così lo specchio di questa regione, come ogni madre è lo specchio di suo figlio. In questo monologo, che è in realtà un dialogo serrato con una madre muta e archetipica, si percorre un viaggio a episodi da Piacenza a Rimini, dal Po all’Adriatico; un viaggio individuale, fatto di avvenimenti comuni, ma proprio per questo universale, come il percorso di formazione di ciascuno di noi.

Dall’infanzia alla maturità anche questa “vita in viaggio” (o “viaggio in vita”) è marcata da un continuo e ambivalente rapporto con la Madre, totem che custodisce in sé, in un groviglio impossibile da recidere, radici e nevrosi, conforto e maledizione.

Per completare questo viaggio biografico, lo spettacolo riflette sui nostri modelli e sulla nostra storia, quasi che la regione si osservasse nuda e riflessa in uno specchio: in suo figlio. Dalla nascita del tricolore, la bandiera della madre-patria, a Reggio Emilia nel 1797, ai grandi autori che hanno contribuito a formare il nostro panorama simbolico. Panorama visivo, con Federico Fellini; ma anche testuale, attraverso una passeggiata “a stazioni” fra i nostri più importanti poeti, da Dino Campana a Roberto Roversi, da Attilio Bertolucci a Marino Moretti e Antonio Delfini, da Giovanni Pascoli a Tonino Guerra.


di Iacopo Gardelli
con Lorenzo Carpinelli
video di Vladimiro De Felice
una produzione Studio Doiz
in collaborazione con Home Movies – Sguardi in Camera

Lo spettacolo è stato finalista al bando RADAR di Ert – Emilia Romagna Teatro

Foto

Sguardi critici

“È lunga, infinita la strada per un bambino caricato su una macchina degli anni sessanta per andare verso il mare, con le città da attraversare, con i tanti fiumi da superare, ed è probabile che prima di arrivare a Bologna, partendo dal Trebbia, il piccolo si sia addormentato.
La stradona di Iacopo Gardelli con Lorenzo Carpinelli è un viaggio su quel lungo rettilineo, afoso e nebbioso, che è la via Emilia. Ma è anche un percorso nelle età di un uomo, da bambino che gioca con i castelli di sabbia, all’età adulta, quando quella madre che un tempo doveva rispondere a tutte le sue domande, che lo accudiva e proteggeva, diventa a sua volta un essere fragile da curare.

Lorenzo Carpinelli dà vita a queste età dell’uomo, in relazione a una madre naturale e a quella madre archetipica che è l’Emilia da Piacenza al mare, in uno spettacolo che qualche volta pecca di ingenuità, come all’inizio, quando l’attore si assume il compito di infantilizzare il protagonista, scoglio sempre arduo nelle rappresentazioni teatrali.
Sostanzialmente però La stradona rappresenta un affondo sincero, con qualche momento di bella poesia, nelle qualità e nelle fumisterie di questa regione e certamente anche dei suoi abitanti. Ci sono riferimenti storici, in certi casi superflui o appesantenti, per esempio all’origine del tricolore a Reggio nel 1797, ma poi, dopo quella cesura del sonno nel viaggio infantile, accompagnato da filmini anni sessanta, quando la strada inizia a scorrere sullo schermo di fondo rovesciata e si evoca la Bologna studentesca e quella incendiata dal ’77 il racconto si fa stringente e in molti momenti emozionante. 

Lui è diventato uno studente universitario che dalla madre troppo presente reclama autonomia, cercando di vivere una propria vita. E gli scontri politici vengono rievocati con le parole forti del poeta Roberto Roversi, dei suoi versi scritti sull’11 marzo del 1977, A che punto è la città?, domande stringenti contro il perbenismo che piange vetrine infrante e non una giovane vita stroncata col piombo e altre giovani vite che vedono annebbiarsi il futuro.

Vengono ricordati vari luoghi della regione e i loro poeti, e con un brano della Dolce vita un rapporto adulto consunto, e Fellini, altro genius loci che ha saputo indagare caratteri di maschi senza qualità, attaccati alle rassicurazioni, cattivi compagni viziati e evanescenti.
Uno specchio è sempre più nelle mani dell’attore, con i suoi riflessi che sembrano dipanare al contrario il filo delle vite, in ulteriori discorsi con la madre, che sempre cerca di ancorarlo alle sicurezze, e lui vorrebbe sfuggire ma abbiamo l’impressione che non riesca a staccarsi da quel suo doppio incistato nel suo essere. Ora è lui che la porta al mare, rispondendo infastidito alle domande e alle insofferenze di lei.

E il cerchio si chiude, su quella striscia di asfalto dritta, con la donna ormai ridotta a bagliori di riflessi, vecchia in ospedale, e lui che si lascia andare a una nuova consapevolezza, nel movimento del mare, col colore e l’odore del grano e dell’erba medica degli immensi campi di pianura.”

Emilia, la Grande Madre di Massimo Marino, Romagna in scena


“La vita, sempre singolare e soggettiva, si metaforizza dunque in un viaggio tra Piacenza e il mare, tra nascita ed età matura, lungo la via Emilia sognata come un utero che partorisce un mondo, il mondo che vive attorno a quella strada secolare.

Un viaggio a stazioni, contrassegnata ciascuna da immagini e video, frammenti della memoria identitaria che hanno in Federico Fellini il loro demiurgo, e insieme scandito dalle parole della poesia, da Campana a Tonino Guerra. Ma ogni tappa è solo una occasione per parlare del sé più nascosto nel rapporto intenso e irrisolto con la propria madre, che solo attraverso quella immagine che può essere condivisa con molti può accettarsi ed essere accettato.
Un ulteriore sperimentarsi in scena quasi che questa fosse oggi il solo luogo in cui recuperare qualcosa che andiamo man mano perdendo.”

Colpi di scena 2021, di Maria Dolores Pesce, Dramma.it


“Il litigio fra madre e figlio rimane irrisolto, il loro legame sospeso. Quel che ci è dato vedere è lo specchio, che si pone all’estremità della strada, e Lorenzo, che le si avvicina a braccia aperte come in bilico su una fune, calpestando i castelli di sabbia che lo dividono da lei. Sullo schermo una scala sul mare. E più si sale e più lui si avvicina.

«Ti guardo e vedo me stesso». Quello in scena è un monologo, ma la dinamica alla quale si assiste seguendo lo spettacolo è simile a quel che si fa parlando davanti allo specchio: parlare con sé, parlare con un altro e intanto ascoltarsi, sentirsi, capirsi. Un monologo che sviscera qualcosa di più. La relazione tra paesaggio e personaggio, lo scambio tra madre e figlio. La strada di una vita, la vita di una strada, è questa qua.”

Tagliare il cordone. La via Emilia che si fa madre, di Giulia Damiano, Altre Velocità


“Il racconto si snoda dall’infanzia alla maturità del personaggio, toccando tappe autobiografiche che coincidono idealmente con l’itinerario della via Emilia: la “stradona” che collega le province come arteria pulsante e potente simbolo dell’Emilia-Romagna.

È un racconto fatto di e su castelli di sabbia che crollano in continuazione, come le aspirazioni e la lotta per l’affermazione di un giovane uomo intrappolato in un rapporto tormentato con la propria madre. Madre che non è mai presente, ma solo evocata, invocata, a volte rigettata.

Madre che si fa inevitabilmente specchio (anche come oggetto scenografico) del figlio che da bambino la venera, poi la respinge ma solo per riconciliarsene in prossimità dell’estremo addio. Madre e stradona si fondono, si confondono ed entrambe assurgono a simboli archetipici dell’origine che è sempre stata sacra ed esecrata, porto sicuro e trappola (in)castrante, paradiso e inferno.

Chi non taglia i ponti con le proprie origini è destinato ad andare incontro a rovina sicura secondo Thomas Bernhard ma persino questo autore “estremo”, in uno dei suoi romanzi parla di un “sentiero” che ci ha in qualche modo evocato questa stradona: “per noi il sentiero della scuola, come il sentiero della vita, è sempre stato un sentiero di dolore, ma nello stesso tempo anche sempre un sentiero di tutte le scoperte possibili e di una felicità sublime, tale che non si può descrivere”.

Colpi di scena, Amelia Natalia Bulboaca, Script&Books

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